Il cammino dell’Avvento 2016 - ciclo liturgico: anno A
27 novembre 1ª domenica di Avvento
I Lettura: Is 2,1-5 Il Signore unisce tutti i popoli nella pace eterna del suo Regno.
Salmo: 121 Andiamo con gioia incontro al Signore.
II Lettura: Rm 13,11-14 La nostra salvezza è più vicina.
Vangelo: Mt 24,37-44 Vegliate, per essere pronti al suo arrivo.
Nessuno conosce il “giorno” e l’ “ora”. Il tema è chiaro: la venuta del Signore è imprevedibile, di qui la necessità della vigilanza.
Al tempo di Noè – racconta il libro della Genesi (6,6-12) – “la malvagità degli uomini era grande sulla terra e ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male; la terra per causa loro era piena di violenza”.
Gesù paragona gli uomini di questa generazione, cioè di coloro che vivono nella fase finale della storia (quindi anche noi) alla generazione dei tempi di Noè: essi vivevano nella spensieratezza totale delle cose che incombevano su di essi: mangiavano, bevevano, prendevano moglie e marito. Nel paragone è messa in evidenza la autocoscienza e il godimento della vita come fondamento della propria sicurezza.
Il cristiano non deve lasciarsi sorprendere da un avvenimento così imprevisto. Egli sa molto bene quello che lo attende e che la rapidità degli avvenimenti ultimi non permette di pensare alla conversione nell’ultimo momento. La generazione di Noè passò alla storia come la più corrotta di tutte (1 Pt 3,20). Non si fa menzione dei suoi peccati concreti, ma si costata solo il fatto: vivevano sicuri e felici e all’improvviso li sorprese il diluvio.
Sebbene l’insegnamento principale di questo brano sia incentrato sull’atteggiamento di spensieratezza e di vita facile della generazione del diluvio, un insegnamento non meno importante, anche se secondario, deve essere visto nella vita di Noè. Il suo comportamento traduce perfettamente la condotta dell’uomo di fede. Egli non aveva alcun indizio per dedurre la catastrofe che si avvicinava: si fidò unicamente della Parola di Dio e portò a compimento quella costruzione assurda in un paese arido, lasciandosi guidare solo dall’ordine che aveva ricevuto da Dio. Al modo di Abramo, egli è dunque il modello di coloro che ripongono la loro fede incondizionata in Dio. Si dice ai cristiani: siate come Noè, e non come i suoi contemporanei. Infatti, quando verrà il Figlio dell’uomo, si ripeterà quello che avvenne allora: uno “sarà preso”, perché appartiene a Cristo (Mt 10, 32-33) e l’altro “sarà lasciato”. E questo, senza preavvisi, nella piena vita di ogni giorno, nel lavoro, nei campi, o in casa.
Questa vigilanza attenta e costante è illustrata da tre parabole: quella del servo fidato e prudente (24, 45-51), la parabola delle ragazze sagge e delle stolte (25,1-13), e la parabola dei talenti (25,14-30).
4 dicembre 2ª domenica di Avvento
I Lettura: Is 11-1,10 Giudicherà con giustizia i miseri.
Salmo: 71 Vieni, Signore, re di giustizia e di pace.
II Lettura: Rm 15,4-9 Gesù Cristo salva tutti gli uomini.
Vangelo: Mt 3,1-12 Convertitevi: il regno dei cieli è vicino.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Tutti gli evangelisti parlano dell’attività del Battista come una preparazione a quella di Gesù. Ognuno di essi la presenta da un suo punto di vista, e i diversi aspetti di questa figura singolare ci offrono altrettanti elementi per ricostruire la sua straordinaria personalità. Matteo mette in rilievo il suo aspetto di predicatore che compie la sua missione secondo lo stile profetico. I profeti antichi si distinguevano sia per i loro vestiti rozzi che per l’austerità della loro vita (2 Re 1,8). Il Battista entra in scena come un predicatore penitenziale.
Matteo riassume la predicazione del Battista nel deserto di Giuda con le stesse parole con le quali riassumerà più avanti, la predicazione di Gesù: “Convertitevi perché il Regno di Dio è vicino” (4,17). Come il ministero del Battista è introdotto con un riferimento a Is (40,3), così anche il ministero di Gesù (Is 4,14-15). C’è dunque una continuità fra i due personaggi e le due predicazioni.
Il tema della conversione, predicato dal Battista, era un’esigenza continua anche tra i farisei: la differenza stava nel modo d’intenderla. La conversione “farisaica” comportava unicamente un “cambiamento di mente”; la conversione richiesta dal Battista e da Gesù è molto di più: richiede un cambiamento radicale, totale, nella relazione con Dio; e questa relazione con Dio comprende non solo l’interno, ma anche l’esterno, tutto quello che è visibile nella condotta umana (”far frutti degni di conversione” v. 8). La retta relazione con Dio si deve tradurre nella retta condotta di tutta la vita. La verità è illustrata con l’esempio dell’albero: se l’albero è buono, produce frutti buoni, frutti degni dell’albero stesso. Chi si converte a Dio è come una pianta del suo immenso campo, e i suoi frutti-opere devono essere buoni.
La radicalità delle esigenze del Battista urtava assai gli uomini pii del tempo: farisei e sadducei. Fra essi vi erano differenze radicali: i sadducei, per esempio, non credevano nella risurrezione. C’era però anche un denominatore comune: la situazione di privilegio di essere figli d’Abramo. A queste classi privilegiate Giovanni annunziava: davanti a Dio non esiste sicurezza basata su privilegi, Egli giudica in base alla condotta tenuta. Anzi, Dio può suscitare figli d’Abramo perfino dalle pietre: Dio, cioè, può compiere una nuova creazione, esattamente come creò il primo uomo dalla polvere.
Il motivo di queste esigenze è l’imminenza del regno dei cieli. Matteo, secondo lo stile dei Giudei, evita, per quanto gli è possibile, per un eccessivo rispetto, di pronunciare il nome di Dio, e ricorre ad altri termini come “il cielo”. Il regno dei cieli e il regno di Dio, di cui parlano Marco e Luca, sono un’unica realtà. Il regno era la più alta aspirazione e la più ardente speranza dell’AT e del giudaismo; era una realtà che apparteneva all’al di là e che Dio avrebbe concessa al momento opportuno. Sarebbe stato come un nuovo cielo e una nuova terra nella quale non vi sarebbero stati peccato, morte e dolore. Il Battista annunzia che tutto questo, che i giudei attendevano in un futuro incalcolabile, si realizzava nella persona di Gesù. Abbiamo qui la ragione ultima dell’esigenza della conversione. L’uomo deve rivolgersi a Dio, perché Dio si è rivolto verso gli uomini.
Matteo, a differenza di Luca e Marco, sviluppa maggiormente il motivo della contrapposizione, non tanto nella differenza tra i due battesimi (l’uno nell’acqua e l’altro nello Spirito e nel fuoco), quanto nel confronto tra le rispettive attese messianiche. Potremmo parlare di due concezioni messianiche a confronto. Nella predicazione di Giovanni Battista, (in Matteo), il Messia atteso è presentato soprattutto come giudice: “Nella sua mano ha il ventilabro… ma brucerà la pula”. La pula (l’involucro del seme) indica apparenza, leggerezza e senza sostanza.
Quante volte anche noi pensiamo di essere giusti davanti a Dio solo perché stiamo da tanto tempo in Chiesa o facciamo parte di qualche gruppo ecclesiale. Il Signore, invece, vuole da noi: opere di penitenza, conversione quotidiana, umiltà davanti a Dio. Tutte le opere buone compiute senza umiltà e senza amore, somigliano al battesimo di acqua amministrato da Giovanni: era certamente una cosa buona, ma non produceva la grazia. Bisogna farsi battezzare da Cristo, perché il vero battesimo è cambiare ogni giorno la propria mente e il proprio cuore.
8 dicembre Immacolata Concezione
I Lettura: Gn 3,9-15.20 Porrò inimicizia tra la tua stirpe e la stirpe della donna.
Salmo: 97 Cantate al Signore un canto nuovo,
perchè ha compiuto meraviglie.
II Lettura: Ef 1,3-6.11-12 In Cristo Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo.
Vangelo: Lc 1,26-38 Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.
La scena non si svolge nello scenario prestigioso del tempio, ma più modestamente “in una città della Galilea”, in una casa privata. Che la rivelazione sia fatta alla futura madre e non più al padre costituisce una differenza poco rilevante: i modelli dell ‘AT possono infatti mettere in scena una donna. Molto più significativa è la verginità di Maria. Per dono di Dio, Elisabetta ha concepito un figlio da suo marito; Maria è soltanto sposa promessa, non ha ancora potuto condurre vita comune con Giuseppe e concepirà senza unione sessuale. Se la nascita di Giovanni è straordinaria, quella di Gesù lo è ancora di più.
La verginità di Maria spiega anche un’importante differenza nello schema dell’annuncio. La giovane donna muove un’obiezione al messaggio celeste ponendo una domanda analoga a quella del sacerdote Zaccaria: “Come avverrà questo, poiché io non conosco uomo (= non ho rapporti sessuali”)? (v. 34). Ora, questa volta, l’angelo non la riterrà assolutamente una mancanza di fede; egli risponde alla domanda senza farvi obiezione e dà a Maria un segno che, al contrario di quello ricevuto da Zaccaria, non costituisce un castigo: la sua parente è incinta.
Il fatto è che Maria si trova di fronte a una situazione radicalmente nuova nella Bibbia la quale non parla di concepimento senza unione sessuale, mentre il marito di Elisabetta conosceva perfettamente la storia di Abramo, identica alla sua.
Le due annunciazioni parallele divergono, quindi, su questo punto, e al silenzio forzato del sacerdote si oppone la docile accettazione della “serva del Signore” che si sottomette alla “parola”; in questo modo, la “parola” è adempiuta. Maria si definirà di nuovo col nome di “serva” in 1,48: una parola che Luca adopera altrove per designare i membri della Chiesa (At. 2,18, 4,29; 16,17).
Nel gioco delle uguaglianze e delle differenze il racconto dell’annuncio a Maria assume toni e colori che altrimenti non avremmo notato.
Il primo quadro è sostanzialmente celebrativo. Zaccaria ed Elisabetta sono descritti come “giusti davanti a Dio” e osservanti rigorosi di tutte le leggi del Signore. Nulla di celebrativo, invece, nel secondo quadro. Nessun cenno alle virtù di Maria, né alla sua preghiera, né alla sua attesa. Tutto è dalla parte di Dio, pura grazia.
Nel primo quadro è l’osservanza della legge che viene premiata, nel secondo è la grazia che viene proclamata. La legge e la grazia: due parole che già dicono la differenza fra l’antico e il nuovo. Lo scenario del primo quadro è grandioso e solenne: nel tempio, durante una liturgia, un sacerdote nell’esercizio della sua funzione, sullo sfondo il popolo in attesa. Il secondo quadro è privo di ogni scenario, come già si è avuto modo di notare.
Il confronto mostra, dunque, un continuo alternarsi di grandezza e piccolezza, solennità e semplicità, che già lascia intravedere i tratti nuovi e inconfondibili del volto di Dio che si è manifestato in Gesù di Nazaret. Da una parte il divino si mostra con tratti di grandiosità e solennità, dall’altra si mostra nella più assoluta semplicità, e proprio per questo svela un volto inatteso e sorprendente. Da una parte l’osservanza della legge, dall’altra la grazia. Da una parte l’uomo che entra nella casa di Dio, dall’altra Dio che entra nella casa dell’uomo.
Sesto mese: dal concepimento, cioè, del Battista.
Nazaret: una città insignificante, mai menzionata nell’A.T. disprezzata dagli stessi palestinesi del tempo di Gesù (Gv. 1,46) e abitata da gente gelosa e materialista (Lc. 4, 23-30).
Vergine: Luca pone due volte l’accento sulla verginità di Maria.
Maria: “Mirjam” significa “esaltata”. Giuseppe, fidanzato di Maria, sembra essere stato di origine giudaica, forse un abitante di Betlemme. Attraverso Giuseppe, pertanto, in quanto suo padre legale, e non attraverso Maria, Gesù eredita una rivendicazione al trono di Davide.
Ti saluto: sullo sfondo di Sofonia 3,14-17; Zaccaria 9,9; Gioele 2,21 questo saluto assume il significato di un invito alla gioia: “gioisci”. Nei passi citati è invitata a gioire la figlia di Sion. Prima di chiamare a una missione, Dio invita alla gioia. La “lieta notizia” precede sempre ogni missione. Il contenuto della lieta notizia è detto subito dopo: la certezza della presenza del Signore (”il Signore è con te”) e il suo amore gratuito e fedele.
Piena di grazia: (kecharitomene) il verbo greco dice fondamentalmente l’amore gratuito. La forma passiva suggerisce che il soggetto è Dio, il tempo perfetto che si tratta di un’azione stabile. Si può perciò tradurre con “amata gratuitamente e stabilmente”.
Il Signore è con te: vedi Esodo 3,11-12 (Mosè), Giudici 6,11-16 (Gedeone). Affidando una missione, Dio assicura sempre la sua presenza, che tuttavia non sottrae alle difficoltà né alle debolezze. Alcuni manoscritti greci secondari (il Codice Alessandrino, un manoscritto di Sant’ Efrem, ecc…) aggiungono: “Tu sei benedetta fra le donne”.
Concepirai un figlio e lo chiamerai Gesù: Maria comprese che l’angelo le stava annunziando che suo figlio sarebbe stato divino, la seconda persona della santissima Trinità? Andrebbe ricordato quanto segue: innanzitutto Luca non sta scrivendo il diario del giorno dell’annunciazione, ma un vangelo di salvezza. In secondo luogo, Maria in quanto “donna del popolo” non era certo abituata a pensare nei termini filosofici più tardivi di persona e natura (Gesù è una persona, ma ha due nature: divina e umana) e sarà stata invece impressionata dalla potenza e dall’infinità bontà divina nelle parole e nelle opere di Gesù. Il racconto dell’infanzia, composto in un periodo post-pentecostale suggerisce abbastanza chiaramente la divinità di Gesù. Il testo lucano si ispira a Zaccaria 3,14-17 e Gioele 2, 21-27 nel descrivere l’era messianica e la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. L’AT non afferma la presenza di Dio in una persona umano-divina, ciò che invece fa Luca applicando molto accuratamente i testi a Gesù.
Non conosco uomo: il fidanzamento di Maria con Giuseppe indica che essa pensava a una vita matrimoniale normale. Gli studiosi, circa quest’obiezione di Maria, danno varie soluzioni:
1) Maria, pensando che l’angelo parlasse di una concezione immediata, obiettò che i rapporti matrimoniali non erano permessi fino al termine dell’anno del fidanzamento.
2) Un’opinione comunemente sostenuta da esegeti cattolici ritiene che Maria aveva fatto un voto di verginità perpetua già prima del suo fidanzamento con Giuseppe; Giuseppe avrebbe accettato il matrimonio a questa insolita condizione.
3) Altri pensano che Maria decise di fare il voto di perpetua verginità al momento dell’annunciazione o a motivo del segno richiesto in Isaia 7,14 oppure a causa dell’impellente necessità del mistero della divina maternità.
Ti coprirà della sua ombra: l’ombra dello Spirito che copre Maria richiama la nube che riempì il tempio di Gerusalemme ((Esodo 40,35; 1 Re 8,10). La discesa dello Spirito Santo di Dio e la proclamazione del Figlio di Dio danno al versetto un tono apocalittico. Sia il tema del tempio che lo spirito escatologico esigono la verginità o la continenza, virtù richiesta dalla Bibbia nei fedeli e nei guerrieri (Levitico 15,16-18; 1 Samuele 21,4; 2 Samuele 11,11). La verginità di Maria è in tal modo un richiamo alla lotta apocalittica della croce e all’ambiente liturgico della Chiesa primitiva.
Nulla è impossibile a Dio: la verginità di Maria rivela una nuova dimensione e nuovo e profondo significato: quello della fiducia e dell’obbedienza totale a Dio, così come Osea raffigura Israele nel suo ruolo di vergine sposa di Dio (Isaia 2,21).
Eccomi!: dice la prontezza dell’obbedienza. Secondo la Bibbia è questo “eccomi” che dice l’identità dell’uomo davanti a Dio. Il nome di Dio è: “Io sono colui che è qui con te”. Il nome dell’uomo è “Eccomi”.
La serva del Signore: è questo il terzo nome di Maria che compare nel racconto. Il narratore l’ha chiamata “Maria”, l’angelo “amata gratuitamente per sempre”, Maria chiama se stessa “serva”.
Il primo è il nome dell’anagrafe: serve a distinguere Maria dalle altre donne. Il secondo è invece il nome davanti a Dio che svela la profonda identità (amata). Il terzo (serva) è il nome che dice la missione di Maria, il suo modo di stare davanti a Dio e agli uomini.
11 dicembre 3ª domenica di Avvento
I Lettura: Is 35,1-6.8.10 Ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi.
Salmo: 145 Vieni, Signore, a salvarci.
II Lettura: Gc 5,7-10 Rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Vangelo: Mt 11,2-11 Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?
Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via.
Agli inviati del Battista che volevano rendersi conto della sua messianicità, Gesù risponde con una serie di allusioni agli oracoli di Isaia, soprattutto al c. 61, un passo importante che ha già fatto da sfondo alle beatitudini. Gesù non risponde direttamente alla domanda degli inviati di Giovanni (” Sei tu colui che deve venire?”) ma rinvia alle sue opere (una storia che è sotto gli occhi di tutti) e alle Scritture (il passo di Isaia). Gesù enumera una serie di miracoli che lo mostrano non come giudice potente, ma come il portatore della grazia e della salvezza: “I ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano…”. Fra essi vi è perfino la risurrezione dei morti, soltanto l’ultimo (”ai poveri è predicato il vangelo”) non è un miracolo, e tuttavia è forse il segno più specifico e decisivo: che Gesù sia l’inviato di Dio è provato dai miracoli, ma è la predilezione per i poveri (ammalati, peccatori, pagani) che rivela la novità della sua scelta messianica.
Dopo aver indicato i termini in base ai quali è possibile dare un giudizio su di lui (i miracoli, la scelta dei poveri e le Scritture), Gesù esprime il suo giudizio sul Battista e lo fa rivolgendosi alle folle.
La grandezza di Giovanni non consiste solo nell’austerità della sua vita e nella fortezza del suo carattere, sta piuttosto nell’aver accettato il compito di preparare il terreno al Messia, cioè di essere stato il suo testimone. Giovanni è venuto per rendere testimonianza a Gesù: risiede qui tutto il suo significato e la sua eccezionale grandezza e Gesù gli fa un grande elogio: Giovanni è la figura più grande di tutta l’economia della legge e dei profeti, implicitamente Giovanni viene giudicato superiore persino a Mosè. Giovanni, però, visse e operò prima della venuta del regno di Cristo, pertanto, anche il più piccolo nel regno, poiché riceverà la luce del vangelo e la potenza della fede, compirà opere più grandi di quelle di Giovanni.
18 dicembre 4ª domenica di Avvento
I Lettura: Is 7,10-14 Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio.
Salmo: 23 Ecco, viene il Signore, re della gloria.
II Lettura: Rm 1,1-7 Gesù Cristo, dal seme di Davide, figlio di Dio.
Vangelo: Mt 1,18-24 Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe,
della stirpe di Davide.
Giuseppe è chiamato “giusto” perché da una parte è desideroso di osservare la legge (che obbligava il marito a sciogliere il matrimonio in caso di adulterio: Maria, infatti, era incinta) e, dall’altra, mitiga con la magnanimità il rigore della legge (evita di esporre sua moglie alla pubblica diffamazione).
Ma Giuseppe è anche “giusto” perché constatando una presenza di Dio, una economia superiore, si ritira di fronte ad essa, senza pretese. “Giusto” ha così il senso tipico di Matteo, cioè accettazione del piano di Dio anche là dove esso sconcerta il proprio.
Tenendo presente questo senso che Matteo dà al termine “giusto”, possiamo concludere che l’annuncio dell’angelo non ha come oggetto il concepimento verginale, che Giuseppe già conosceva (e che costituiva appunto il motivo per cui pensava di ritirarsi nell’ombra). Ma l’oggetto è invece di fargli conoscere il compito che lo attendeva, cioè quello d’imporre il nome al bambino e assumerne la paternità legale.
La nascita di Gesù è collocata all’interno del grande disegno divino della salvezza, già annunziato ai profeti e già in atto nella prima alleanza con Israele: questo è lo scopo della citazione di Isaia (7,14) che Matteo colloca a questo punto del racconto. Non per nulla il nome di Gesù rimanda al verbo ebraico “salvare”, come puntualizza l’angelo (1,21), e a lui si adatta in pienezza il titolo di Emmanuele, cioè Dio-con-noi.
L’espressione “Dio con noi” la ritroveremo alla fine del Vangelo di Matteo: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (28,20). Cristo è presente nella Chiesa e continua ad essere il Dio con noi. Non solo è presente nella comunità, ma è il salvatore e il sostegno della comunità. Il vangelo di Matteo non perde occasione per dirci i luoghi privilegiati della presenza del Risorto: nella comunità radunata nel suo nome (18,20), negli apostoli missionari (10,40), nei fratelli bisognosi (25,31), nella chiesa che predica (28,20).
All’interrogativo “chi è Cristo?” Matteo risponde: Gesù è il Figlio di Dio, perché è nato dallo Spirito, è un dono dall’alto e non solo dalla discendenza Davide. Egli viene da Davide, ma attraverso una via di elezione che supera quella del sangue. In lui avviene un compimento nuovo, inatteso e per molti deludente: quello della Croce.